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Codice: 9788879692632

Raccolgo in questo volume i miei saggi su Annibal Caro, redatti generalmente in anni lontani e in collegamento con il lavoro della mia tesi di laurea (discussa con Walter Binni e Riccardo Scrivano il 1° marzo 1967), che consisteva in un’ampia monografia su tutta l’opera dello scrittore di Civitanova. Per un certo periodo tenni in piedi il progetto di trasformare quella tesi in un volume che fornisse una ricostruzione storica e un’interpretazione completa di una carriera così intrecciata con la storia politica e sociale del Cinquecento e con i suoi grandi eventi e di un’opera letteraria così aperta alle più diverse prospettive culturali e alle più varie sperimentazioni (oltre che in stretto rapporto con le vicende delle arti figurative). Ma, come spesso succede, quell’intenzione non si sviluppò adeguatamente: mi capitò di elaborare a partire dalla tesi questi saggi, destinati in origine a porsi come capitoli della desiderata monografia; ma mi pareva che, prima di procedere, sarebbe stato necessario tanto altro lavoro, che non ebbi modo di fare, trascinato da altre curiosità e da altri interessi. Uno di questi saggi (quello sugli Straccioni) costituisce la mia prima pubblicazione, legata alla passione del teatro e del comico che in quegli anni era particolarmente viva; e fu allora accompagnato dall’emozione che di solito suscitano tali eventi inaugurali: ricordo che allora il percorso verso la stampa si avvaleva di procedimenti meccanici ora desueti, dalla macchina da scrivere su cui io stesso avevo vergato il testo, ai caratteri mobili di piombo della tipografia, composti sulla tastiera della linotype (e le bozze erano molto più complesse di ora, comportavano spesso una necessità di ben più fitte correzioni). Del saggio sulle lettere facete e gli scritti burleschi (il primo di quelli qui raccolti) apparve una prima parte su di una elegante rivista romana, che subito dopo fu costretta a chiudere per i costi eccessivi: e la seconda parte rimase inedita, come segnata da un duplice avverso destino, dato che in essa confluiva anche una comunicazione che avevo presentato (mentre ero ancora studente e stavo elaborando quella tesi di laurea) al convegno dell’ottobre 1966 per il centenario della morte del Caro, i cui atti non sono mai stati pubblicati (di questa seconda parte mi rimaneva soltanto una copia dattiloscritta, risultante dall’uso di un’altra tecnica anch’essa ora desueta, quella della carta carbone). Anche il saggio sugli Sviluppi culturali nel passaggio dai Gaddi ai Farnese non vide mai la luce: esso risulta da una fase in cui pensavo ancora di sistemare la monografia e l’ho ritrovato in fogli scritti a mano, dato che non passò nemmeno alla veste dattiloscritta che allora si usava. Oggi tutto questo è finito: allora scrivevo prima a mano, su fogli Letter o protocollo che riempivo con un vero e proprio horror vacui; poi faticosamente correggendo trascrivevo sulla macchina da scrivere (spesso anche con l’ausilio di quella carta carbone, per fare più copie). Tutto cambiato: scrivo e scriviamo direttamente al computer; su Word possiamo continuamente modificare e correggere senza fatica, confidando nell’evanescenza del mondo digitale. Il quarto saggio, invece, è frutto di un provvisorio ritorno al Caro, alcuni anni dopo, in collegamento alla fondazione del Centro studi «Europa delle corti», che per alcuni anni fu un vivace luogo di scambio, di incontri, di viaggi, di entusiasmi per lo studio delle più diverse forme della cultura del Cinquecento, a cui parteciparono inizialmente i compianti Eugenio Battisti e Alberto Tenenti, e tanti altri amici più vicini e familiari, tra cui in primis quello più amaramente perduto, Giancarlo Mazzacurati, e Amedeo Quondam. L’ultimo breve scritto sull’Eneide è invece frutto del ritorno più recente, legato direttamente alle iniziative del comune di Civitanova Marche, della provincia di Macerata e della regione Marche per il centenario della nascita del nostro scrittore (2007).


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