Codice: 9788879695794
Caratteristiche del volume:
Ft. 170x240 mm, 2024, 176 pp., illustrato, brossura
€ 18,00
Cosa mi ha mosso a scrivere alcuni racconti che coprono un ventaglio di quasi due secoli? Presto detto: da piccolo ascoltavo incantato le favole di mia nonna Franca. Più grandicello, mi sentivo attratto dalla storia e dalla geografia. La storia pura e cruda, però, m’intimidiva perché, sebbene necessaria, la sentivo distante, un po’ fredda. Andava integrata da qualcos’altro.
Immaginiamo il corpo umano: fra mille cose che concorrono a comporlo, mi piace sottolineare le ossa, i muscoli e la carne, detta “ciccia”. Butto là: la storia che si studia a scuola corrisponde alle ossa, sostegno del corpo; i muscoli e la carne alla storia delle persone; senza muscoli e carne, il corpo sarebbe uno scheletro. Storie che, salvo eccezioni, a scuola, sono un po’ trascurate. Andiamo avanti. Il corpo umano lo si capisce meglio se si studia l’anatomia, così come la storia delle persone la si capisce meglio se la si inquadra, oltre che nella Storia con la “S” maiuscola, nella geografia. Tanto più che le vicende che qui riporto, originate nella città di Fermo, non di rado vanno oltre i confini dell’antica Firmum Picenum e delle nostre belle Marche per viaggiare nella nostra patria comune: l’Europa.
Crescendo, le favole della nonna Franca hanno fatto progressivamente posto all’ascolto di storie di persone. Non solo di persone attuali, che ho conosciuto, ma anche di quelle che ci hanno preceduto. Nella mia famiglia, una motivazione a non perderne la memoria era legata alla musica; in altre famiglie, a vicende patriottiche; in qualche famiglia, le due cose convergono.
Quando i miei si sono trasferiti a Roma, ero solo un ragazzino; ma l’infanzia l’ho trascorsa là dove sono nato: a Fermo. La pianta di questi miei racconti storico-biografici ha per questo le radici là dove sono nato. Le radici non si vedono, così come molte persone di cui parlo non le ho, per forza di cose, conosciute personalmente: non sono mica Matusalemme! Ma di quelle che non ho conosciute personalmente, mi hanno parlato i discendenti. E la storia, quella che si studia a scuola, mi ha permesso di meglio collocarle.
Mi è stato rimproverato di parlare troppo. È vero. E, quel che è peggio, di parlare sovente di me stesso. Ho capito che all’origine di questo mio difetto è la paura di essere dimenticato. Ho un’attenuante: nei miei racconti parlo anche di me, è vero, ma soprattutto di altri, quasi avessi paura che sia loro che io fossimo cancellati del tutto da un colpo di spugna. E francamente mi dispiacerebbe! Nello scrivere questi racconti ho comunque un forte senso di colpa. Qual è questa colpa? Confesso: un furto. Il tempo ci ruba tutto e a me piace rubare qualcosa al tempo!